Sculture e quadri come modelli platonici, geometrie sospese tra terra e iperuranio, frammenti di memoria che fondono la classicità al cuore di tenebra dell’arte africana: le opere di Patrizia Castaldi legano materie ed elementi diversi per dare forma al sogno di un ordine cosmico, ai meccanismi siderali di un universo parallelo fondato sulla misura armonica di proporzioni segrete.

Castaldi dialoga con le avanguardie storiche e l’arte Bakota, con le geometrie rinascimentali e con le sperimentazioni sui nuovi materiali degli anni Sessanta, elaborando tuttavia una sintesi personale in cui ogni elemento viene calibrato con una raffinata misura compositiva.

Nell’opera di Castaldi si evidenzia infatti una sapiente capacità costruttiva, un’azione progettuale e quasi architettonica in cui i frammenti e la totalità dei lavori si assemblano in modo organico attraverso il filtro aggregante di una visione fondata su un’ineccepibile struttura logica, su un modulo proporzionale e matematico in bilico tra frontalità e profondità, tra primo piano e tridimensionalità.

In questo modo la sfera e il cubo, la linea retta e l’ovale si trasformano negli archetipi formali con cui si declina l’opera scultorea dell’artista, i modelli portanti di un discorso coerentemente posto al confine tra geometria e poesia, in cui il legno viene sublimato nella sua essenza più lieve per tracciare segni sovrapposti di vibrazioni, dissonanze euritmiche che animano la staticità iniziale del piano visivo.

I listelli di legno, scanalati, modellati e ricomposti superano così la dimensione del frammento per mettere in scena un rilievo leggero dove l’astrazione della forma si pone in un consapevole dialogo con il cromatismo della pittura, anche per la scelta raffinata del lavoro di incisione della loro superficie che entra in rapporto con il bianco o il nero del supporto componendo una meditata scansione ritmica del prospetto frontale delle opere scultoree.

L’elemento cromatico unito alla dimensione geometrica rappresenta difatti uno dei tratti salienti del lavoro di Castaldi che trova un punto di riferimento importante anche nell’ispirazione del potente e scabro uso del rame dell’arte Bakota.

Il rame viene trattato, non a caso, dall’artista in modi diversi ma complementari, a volte sotto forma di tessere metalliche, come un antico mosaico che fa brillare le sculture di una luce quasi ultraterrena, a volte come un sostrato splendente che riecheggia i fondi oro dell’arte medievale, oppure come un’incorniciatura messa in evidenza dalla nera griglia costruttiva che chiude l’opera lasciando intravedere le immagini che ricopre.

Il rame diviene dunque la metafora di una possibile nostalgia, dell’aspirazione a ricongiungersi con una dimensione superiore, l’allusione a una perfezione edenica perduta che l’artista cerca forse nelle radici originarie dell’arte africana e dell’arte egizia, radici di un arcaico passato preclassico che l’artista cerca paradossalmente anche nel suo lavorare sull’arte delle primissime avanguardie del Novecento e sul suo desiderio di ritrovare la purezza di un’infanzia perduta dell’umanità.

Castaldi sembra pertanto ritrovare una misura aurea nella sua struttura aniconica, in un ritorno all’ordine collocato tra la pulsazione della materia e la frastagliata e abbagliante oscillazione della luce, tra il filtro delle rette parallele che sovrastano il supporto splendente e l’oscuro ovale primigenio, emblema di una perenne ricreazione demiurgica del mondo.

Con un’azione paziente e costante, Patrizia Castaldi rinnova così le orbite e i sistemi planetari di un universo segreto, le coordinate di uno spazio siderale che supera l’immaginazione per prendere forma attraverso la presenza reale dell’opera d’arte, l’intreccio visibile tra microcosmo e macrocosmo che si rende tangibile attraverso l’esperienza della materia modellata e ricostruita dalle mani e dallo sguardo dell’artista.

 

Lorenzo Canova

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